dal: 07-03-2017 al: 19-03-2017
Terminato
Via Pier Lombardo, 14, 20135 Milano
Tel: 02 599951

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SCHEDA SPETTACOLO: DELITTO E CASTIGO

dostoevski-milanoinscena
Stagione 2016-2017
Di Alberto Oliva, da Fedor Dostoevskij e Mino Manni
Regia di Alberto Oliva
Cast Camilla Sandri, Francesco Brandi, Maria Eugenia D’aquino, Massimo Loreto, Matteo Ippolito, Mino Manni e Valentina Bartolo
Una produzione Teatro Franco Parenti
Recensione di: Fausto Malcovati Voto 2

Tra gli spettacoli dostoevskiani di Alberto Oliva, questo Delitto e Castigo è forse, dal punto di vista della drammaturgia, il migliore. Le varie linee narrative del romanzo sono ben organizzate e i personaggi rispettati nella loro complessità.
E’ ben delineato il giudice Porfirij (un ottimo Massimo Loreto), c’è la storia di Dunja (Camilla Sandri, bella e intensa) con Svidrigajlov (Mino Manni, asciutto, energico ma privo di quella leggera ironia che è indispensabile al personaggio), c’è la vicenda di Katerina Ivanovna, folle moglie di Marmeladov (Maria Eugenia D’Aquino, bella prova d’attrice).
Il problema è che Oliva non si fida di Dostoevskij: non gli basta quel c’è nel romanzo, interpola, aggiunge, mescola le carte. Un esempio. La confessione di Raskolnikov a Sonja: nel romanzo una scena straordinaria, tesissima, emozionante. Dostoevskij indica addirittura le pause, le intonazioni, i movimenti. C’è tutto, è perfetta. Invece no. Oliva, a metà, sente il bisogno di far entrare il fantasma di Lizaveta (l’altra vittima dell’omicidio, la sorella buona della vecchia usuraia)con un fagotto in braccio. Che ci fa il fantasma in questa scena? Allenta la tensione, distrugge la perfezione del testo. Idem dicasi per la scena della ripetizione del delitto: gli incubi a teatro non riescono mai, qui diventa puro grand giugnol. Ma il vero punto debole dello spettacolo di Oliva è Raskolnikov. Intendiamoci, Francesco Brandi è un attore dotato e con ogni probabilità lo rivedremo presto (così come Sabastiano Bottari, un Razumichin spontaneo, mai sopra le righe) ma per tutto lo spettacolo urla, si dimena, si contorce, aggredisce, non ha un momento di interiorità, di riflessione, di autocontrollo. La sua incessante eccitazione sbilancia lo spettacolo: si sarebbe dovuto fermarlo e fargli capire che il cammino di Raskolnikov nel romanzo è fatto non di strepiti e scenate ma di lenta, dolorosa assunzione di responsabilità del proprio gesto.