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SCHEDA SPETTACOLO: SOGNO D’AUTUNNO
È un’indiscussa affinità elettiva quella che lega Valerio Binasco al norvegese Jon Fosse di cui ha allestito ben cinque drammi, compreso Sogno d’autunno, oscuro, forse pure ostico, eppure straordinariamente struggente. La familiarità con Beckett e Pinter ma anche quella stralunata ironia e quel dissacrante surrealismo che costituiscono le cifre del linguaggio registico di Binasco ne possono spiegare la familiarità con un autore certo non facile, in cui i silenzi contano forse più delle parole, i personaggi sono esseri privi di identità – sono indicati come l’Uomo, la Donna – poiché, in verità, agiscono quali paradigmi dell’umanità. In un cimitero – cui Carlo De Marino attribuisce coloriture più mediterranee che scandinave – l’Uomo e la Donna si incontrano casualmente dopo molti anni. Probabilmente fra loro c’è stata una qualche forma di relazione ma l’Uomo è sposato e ha un figlio. L’amore – o, meglio, l’insoddisfazione e il desiderio di vivere una vita davvero scelta e piena – spinge l’Uomo ad abbandonare la famiglia e a risposarsi con la Donna. Questo lo apprendiamo allorché la coppia – dal cimitero si passa a una soffocante cucina rosso carico – si presenta al funerale della nonna di lui ed è costretta a un doloroso confronto con i genitori dell’Uomo. Intanto compaiono anche la ex moglie che comunica che il figlio sarebbe in fin di vita… Eventi che si susseguono e sovrappongono secondo una linea temporale non lineare bensì circolare, in cui ripetizioni e ritorni tramutano il tempo in sostanza fluida e facilmente malleabile, in balia di desideri e conseguenti sensi di colpa. Forse ciò cui stiamo assistendo è realmente un “sogno”, vissuto sul palco dall’Uomo – un Michele Di Mauro che, rinunciando al consueto gigionismo, regala un’interpretazione di commuovente rigore – vagheggiante la Donna che lo ammaliò nel passato – Giovanna Mezzogiorno, elegante e misurata, capace di recitare col mobilissimo viso e il nevrotico corpo così come con la voce. Fosse evoca con calvinistico rigore, ma senza moralismi, le conseguenze nefaste di quell’atto infinitamente egoistico che è l’amore; un rigore che Binasco ammanta di eccentrico ma raffinato surrealismo, concedendo appena qualche nota melodrammatica ai personaggi della Madre e della ex moglie – le brave Milvia Marigliano e Teresa Saponangelo – e oggettivando nel Padre – un toccante Nicola Pannelli – l’unica via di salvezza dal dolore, ovvero la mite accettazione del proprio immutabile Fato.