dal: 27-11-2015 al: 29-11-2015
Terminato
Via Selvanesco, 75, 20142 Milano
Tel: 02 5410 2612
Orari:

**Consultare le schede relative agli spettacoli per verificarne l’effettivo orario e data.

Prezzi: prezzi variabili a seconda della rappresentazione e consultabili sul sito http://www.pimoff.it/ €

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SCHEDA SPETTACOLO: L’anarchico Non E’ Fotogenico + Io Muoio E Tu Mangi

Stagione 2015-2016
Di Roberto Scappin e Paola Vannoni
Cast Roberto Scappin e Paola Vannoni
Una produzione Quotidiana.Com
Recensione di: Roberto Canziani Voto 3.5

Bisogna affrontare con mente tersa e animo sgombro gli spettacoli di quotidiana.com. Almeno i più recenti, composti in una trilogia: L’anarchico è fotogenico, il primo movimento di questa sonata “per una buona morte”, a cui seguono Io muoio e tu mangi, secondo movimento, e Lei è Gesù.

Ipnotizza, nel lavoro dialogico di Paola Vannoni e Roberto Scappin in L’anarchico è fotogenico, la sublime flemmatica britannica indolenza che sulla pagina si dispone come un ping pong di battute brevi emergenti dal bianco, mentre in scena ha le sembianze di una coreografia rallentata, uscita dal freezer dell’umorismo cold & black, che potrebbe spingerci a leggere gli obituaries come menù di un ristorante. Lapsus dello spirito, dicono loro. È di morte che si parla in questo spettacolo. Perlomeno, la morte è il punto di partenza di questo minimalismo drammaturgico. Comprimere mastodontiche riflessioni etiche nei fumetti di una strip. Proprio come si fa per produrre diamanti sintetici. Il dialogo di Plotino e Porfirio («discorriamo insieme, riposatamente») in formato zip. Suicidio ed eutanasia, versione pocket. Affilatissimo pericoloso divertimento.

Per Io muoio e tu mangi, secondo movimento della trilogia, la mente dev’essere tersa per poter tenere il passo con la serrata logica di pensiero a cui i dialoghi tra Roberto Scappin e Paola Vannoni costringono chi ascolta. Botta e risposta, dal taglio lapidario, che lasciano una coda di riflessioni. Lei pone la questione, lui replica, spesso facendo ricorso a formule usurate di linguaggio, dentro alle quali lascia però baluginare una deriva di senso, che diventa ben presto illuminazione. O viceversa. Per esempio un «de-vi mo-ri-re», uno di quegli insulti scanditi allo stadio dalla tifoseria avversaria, nel laconico dialogo dei due si trasforma in un memento mori, che mette insieme pietà e sarcasmo.

Al centro di questo secondo movimento c’è infatti una morte, non solo annunciata, ma continuamente differita, che ci sembra aver toccato di persona uno dei due performer. «Forse anche mio padre avrebbe voluto la sua sindone». Ma la pratica ospedaliera contemporanea, tra padiglioni di geriatria e accanimenti terapeutici, tende a prolungare il più possibile la stesura di quel velo, sempre più ossessionata dal grande tabù della nostra epoca, la prima ad aver voluto rimuovere dal concetto di vita quello di morte. Di questo, in prima persona, parlano i due. Di un Paese che coltiva i crocifissi e nega dignità ai moribondi, ed equipara eutanasia e omicidio. Li aiutano a tenere l’animo sgombro Karl Kraus («il grande odiatore») e alcune terzine del Paradiso di Dante.