dal: 18-11-2015 al: 14-12-2015
Terminato
Via Gaudenzio Ferrari, 11, 20123 Milano
Tel: 02 832 3156
Orari:

Lunedì, giovedì, venerdì h. 21.00 (riposo martedì).

Mercoledì, sabato h. 19.30.

Domenica h. 17.00.

Prezzi: 9 < 18 €

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SCHEDA SPETTACOLO: C’Ѐ UN DIRITTO DELL’UOMO ALLA CODARDIA. Omaggio a Heiner Müller

Stagione 2015-2016
Di Francesco Alberici, Giulia Tollis, Héléna Rumyantseva e Stefano Cordella
Regia di Renzo Martinelli
Cast Cristina Cappelli, Daniele Crasti, Giulia Mancini, Liliana Benini, Marco De Francesca e Mauro Sole
Una produzione Teatro i - TO PLAY
Recensione di: Roberto Rizzente Voto 3

Sarà l’effetto della Riforma, il vento nuovo che soffia sul teatro: fatto sta che anche il Teatro i, nella persona del suo mentore e fondatore, Renzo Martinelli, si è aperto a una nuova, più condivisa politica produttiva, “To Play”. E l’ha fatto con un testo bello, bellissimo, Germania 3. Spettri sull’uomo morto, l’ultimo di Heiner Müller, qui riletto, scomposto e reinventato con il titolo C’è un diritto dell’uomo alla codardia (omaggio a Heiner Müller) da un team di quattro drammaturghi e sei attori, tutti neodiplomati.

L’operazione è, indubbiamente, ambiziosa – considerando anche il peso specifico dell’originale – tuttavia consente al regista da un lato di spezzettare la narrazione, giustificando gli alti e i bassi degli autori, e dall’altro di estendere la riflessione all’oggi, facendo del dopoguerra nella Germania dell’Est il pretesto per un più generico riferimento «all’osceno della Storia». All’ombra del grande tedesco ecco, allora, che Renzo Martinelli, con la consueta collaborazione di Francesca Garolla, trasforma il testo in una partitura quasi jazzistica, rizomatica e complessa, in cui tutto, persino la crisi identitaria dei giorni nostri, il narcisismo, le tentazioni dell’oblio, ha diritto di cittadinanza. E il gioco, per un po’, funziona: gli attori, certo, i tre ragazzi soprattutto, non sono all’altezza; le parole ben poco hanno da spartire con la potenza visionaria di Müller. Ma tale è l’esperienza e tanti i riferimenti alla Valdoca, che Renzo Martinelli riesce a tamponare le falle, compensando con l’invisibile degli sguardi, la fantasia delle coreografie, il sommerso dei gesti, i silenzi, le altrui deficienze. Un pronto stop, tuttavia, sarebbe stato auspicabile.

Lo spettacolo, invece, a un tratto scivola via. Altri spunti, altre idee – che una più ampia trattazione avrebbero meritato – si affollano in successione. Le sequenze si accavallano, s’intrecciano, lievitano, impercettibilmente si dilatano. Fino al finale: bello, sì, ma davvero troppo simile a quelli di un Latella – il Latella de Il servitore di due padroni, soprattutto – per apparire convincente.