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SCHEDA SPETTACOLO: IL NOME DELLA ROSA
Non è una sfida da poco mettere in scena Il nome della rosa, un romanzo che ha venduto milioni di copie e i cui personaggi e ambienti, nell’immaginario collettivo, corrispondono inevitabilmente a quelli di un altrettanto celebre film.
Chi si accinga a tale improba prova ha davanti a sé due possibilità: procedere a un adattamento “scolastico” e filologico e, coerentemente al fine di non disorientare troppo gli spettatori, rifarsi apertamente alle atmosfere della pellicola di Jean-Jacques Annaud; oppure scavare fra le pagine del romanzo così da farne emergere l’intrinseca teatralità e tramutarla poi in una drammaturgia originale.
La prima possibilità è quella scelta da Stefano Massini, autore nel 2015 di una riduzione del libro di Umberto Eco, ora adattata e diretta da Leo Muscato. Il regista, per garantire la sopravvivenza del narratore esterno – Adso anziano – ne sdoppia il personaggio sulla scena, dove convivono il “giovane”, interpretato da Giovanni Anzaldo, e il “vecchio”, incarnato da Luigi Diberti. Per suggerire l’atmosfera dell’abbazia, Muscato ricorre a inventive e raffinate video-proiezioni (di Massimo Iaquone e Luca Attilii) che animano un pannello nero in cui si aprono squarci dai quali si affacciano i personaggi o che può essere sollevato a svelare una sontuosa scena che riproduce lo scriptorium al centro della vicenda.
La regia ricorre dunque a espedienti – anche gli ologrammi nella parte finale – che imitano esplicitamente il linguaggio cinematografico: la sensazione è che, da una parte, si voglia ammiccare al pubblico, proponendogli qualcosa che egli già conosce; dall’altra, sia mancata la fiducia nella capacità della grammatica teatrale di tradurre efficacemente in scena il romanzo. Il risultato è una sorta di “brutta copia” del film, priva però del suo ritmo e della sua tensione: sì, perché, il filone giallo-thriller della trama risulta annacquato, mentre la denuncia della corruzione della Chiesa viene ridotta a farsa. Una fragilità d’impostazione dello spettacolo che alcuni degli interpreti principali certo non aiutano ad attenuare: Luca Lazzareschi è un Guglielmo assai poco convinto – e convincente – del proprio ruolo; mentre deludente è apparsa la prova di Eugenio Allegri, impegnato nel doppio ruolo di Ubertino e dell’inquisitore Bernardo.