dal: 03-01-2017 al: 21-01-2017
Terminato
Via Rovello, 2, Milano
Tel: 848 800 304
Orari:

Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.

Prezzi: 12 < 32 €

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SCHEDA SPETTACOLO: LEHMAN TRILOGY

Stagione 2016-2017
Di Stefano Massini
Regia di Luca Ronconi
Cast Denis Fasolo, Fabrizio Falco, Fabrizio Gifuni, Fausto Cabra, Francesca Ciocchetti, Laila Maria Fernandez, Martin Ilunga Chishimba, Massimo De Francovich, Massimo Popolizio, Paolo Pierobon, Raffaele Esposito e Roberto Zibetti
Una produzione Piccolo Teatro Di Milano - Teatro D’Europa
Recensione di: Claudia Cannella Voto 4.5

L’EPOPEA DEI FRATELLI LEHMAN, RONCONI E MASSINI LEGGONO LA STORIA

In Lehman Trilogy si trovano l’epica, il mito, la storia, pubblica e privata, di una delle famiglie più potenti d’America, i Lehman, e del Paese in cui misero nuove radici, emigrando a metà Ottocento da Rimpar, Baviera, a Montgomery, Alabama.
Ebrei ortodossi rispettosi di riti e tradizioni all’inizio, ebrei newyorchesi ormai “laici”, semmai votati al culto del dio denaro poi: 160 anni di storia per tre generazioni di commercianti, banchieri e finanzieri. Fino al mostruoso crack della Lehman Brothers nel 2008.
Tutto ha inizio con uno sperduto ma volitivo ebreo ortodosso, figlio di un mercante di bestiame bavarese, che l’11 settembre 1844 sbarca a New York. Nel giro di pochi anni viene raggiunto da Emanuel e Meyer. Ben presto i tre fratelli capiscono che in quell’America, che dà una chance a chiunque mostri talento e tenacia, la ricchezza si raggiunge diversificando gli investimenti: quindi cotone, caffè, ferrovie, petrolio, sigarette, televisori, cinema, automobili, aerei, Canale di Panama, alcol, computer. Ma anche, e poi soprattutto, percentuali sulla transazioni, New York, Borsa, azioni, finanza: ricchezza spregiudicata che si concluderà con il crack del 2008, quello definitivo, perché la “Lehman Brothers”, che da tante crisi si era risollevata (Guerra di secessione, conflitti mondiali, crisi del 1929), a quella soccomberà. Lehman Trilogy di Stefano Massini è un bellissimo testo (pubblicato da Einaudi), un’opera “ibrida” a cavallo fra teatro e letteratura, una sorta di “romanzo teatrale” in cui molteplici sono i registri linguistici e di contenuto: saggio, narrativa, racconto onirico, mito e storia, prosa e versi, con dialoghi e scarti temporali dai ritmi cinematografici.
Non stupisce che Luca Ronconi ne sia rimasto colpito: per la forma non strettamente teatrale, per i toni epici della grande saga familiare, per un modo di indagare la contemporaneità che va a toccare, per esempio, la storia dell’economia, ma anche l’evoluzione dell’umanità e il rapporto con la tradizione e le radici. Temi presenti in molti suoi spettacoli degli ultimi trent’anni, da Strano interludio e Gli ultimi giorni dell’umanità a La compagnia degli uomini, passando per Infinities, Il professor Bernhardi e Lo specchio del diavolo.
Al centro della fluviale Lehman Trilogy, divisa dal quarantenne autore fiorentino in tre parti e da Ronconi in due (ovvero due serate di spettacolo), ci sono i tre fratelli Henry, Emanuel e Mayer, poi lo speculatore Philip, figlio di Emanuel, e il politico Herbert, figlio di Meyer, infine il fragile Robert, figlio di Philip, la terza e ultima generazione. Per loro un cast d’eccezione composto, in ordine “di nascita”, da Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, uno straordinario Massimo Popolizio, Paolo Pierobon, Roberto Zibetti e Fausto Cabra. Senza dimenticare Francesca Ciocchetti, interprete delle varie mogli dei Lehman, e Fabrizio Falco nel ruolo emblematico di un funambolo che passeggia sospeso per cinquant’anni davanti all’ingresso di Wall Street per poi cadere proprio il giorno dell’inizio della crisi del ‘29.
Nessuna concessione alla scenografia, una scatola bianca punteggiata dalle diverse insegne dell’impero Lehman, e ai costumi, tute nere da cui spuntano colletti rigidi e panciotti. È puro teatro d’attore e di parola, con una prima parte avvincente come un’epopea biblica e non priva di gustosi momenti di ironia “ebraica” (i tre esilaranti monologhi di Meyer, Emanuel e Philip sulla scelta delle rispettive mogli), e una seconda, tutta sul secolo breve, più cupa, con qualche cedimento didascalico, forse ancora troppo vicina a noi per essere adeguatamente storicizzata e mitizzata. Ma sono peccati veniali di fronte all’incontro tra un testo ambizioso e appassionante e un regista che ha saputo trasformarlo in uno spettacolo di grande e duraturo fascino.