Martedì/venerdì h. 20.45.
Sabato h. 19.30.
Domenica h. 16.
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MEDEA
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SCHEDA SPETTACOLO: Lady Mortaccia, La Vita E’ Meravigliosa
Un titolo un po’ triviale (Lady Mortaccia) che lo spettacolo purtroppo non riesce a farsi perdonare e che in realtà vorrebbe già introdurre a uno spirito irriverente capace di affrontare con spiritosa leggerezza un argomento così tetro come quello della morte. Ricorrendo all’arma di un allestimento musicale, debitamente corredato di canzoni e movimenti coreografici, tutti un po’ scontati, per inoltrarsi nell’anima di una morte che, invece, appare vitalissima e felice. A partire da un incipit di tuoni e fulmini che la colgono in un ambiente variamente seminato di simboli da camposanto, dove troneggia tuttavia un divano su cui adagiarsi languidamente.
A prestarle gesti e sembianze una Veronica Pivetti avvolta in panni neri e viola che si prodiga a tracciare l’inedito ritratto di una morte solarmente vivace e perfino un po’ sensuale, pronta a esibirsi in scenette da cabaret e gags da avanspettacolo, senza trascurare una passerella variegata in stile sfilata d’alta moda. Ma anche di avventurarsi in speculazioni vagamente filosofiche che la inducono a commuoversi, al di là della sua favoleggiata crudeltà, di fronte alle distruzioni e agli abusi operati dai viventi.
A farle da spalla in scena, Oreste Valente ed Elisa Benedetta Marinoni, che interpretano, con godibile efficacia, i due assistenti Sentenza e Funesto. Senza poter tuttavia far molto per contrastare la prevedibilità di un testo, scritto da Giovanna Gra, privo di un vero filo drammaturgico, fitto di luoghi comuni, frammentario e debole. Mentre tutto l’allestimento, curato dalla stessa autrice, si snoda un po’ slabbrato e banale senza riuscire a incanalare l’azione in una necessaria essenzialità di ritmi e di senso. Col risultato di uno spettacolo privo di mordente, assai lontano da ogni graffiante e divertente brillantezza, che procede tra continue cesure per approdare stancamente all’annichilimento della stessa morte. Poiché il genere umano è ormai a un tale punto di efferatezza, da potersi distruggere da solo.