dal: 02-04-2019 al: 07-04-2019
Terminato
Corso Buenos Aires, 33, 20124 Milano
Tel: 02 0066 0606
Orari:

Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30

*Sala soggetta a cambio d’orari.

 

 

Prezzi: 13,50 < 33 €

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SCHEDA SPETTACOLO: La scuola delle scimmie

Stagione 2018 -2019
Di Bruno Fornasari
Regia di Bruno Fornasari
Cast Camilla Pistorello, Emanuele Arrigazzi, Giancarlo Previati, Irene Urciuoli, Luigi Aquilino, Sara Bertelà, Silvia Lorenzo e Tommaso Amadio
Una produzione Teatro dei Filodrammatici
Recensione di: Diego Vincenti Voto 3

Welcome to the jungle. Benvenuti nella giungla. Così accoglie la produzione del Filodrammatici, La scuola delle scimmie. Solo che a differenza di come cantavano i Guns n’Roses, sul palco si fatica a trovare “fun and games”. È un gioco serissimo quello scelto per indagare il fanatismo attraverso l’ultimo secolo. L’uomo alle prese con i suoi oscurantismi.
Due le storie di riferimento: da una parte John Thomas Scopes, processato nel 1925 in Tennessee, per aver insegnato la teoria dell’evoluzione di Darwin; dall’altra un professore di scienze nell’Italia contemporanea, alle prese con le difficoltà di integrazione, un fratello foreign fighter, babbo complicato e una studentessa bellina ma coi grilli per la testa.
Pure la fidanzata artista non l’aiuta. Anzi. Due poli distanti 90 anni. Che si intrecciano con il consueto sguardo para-cinematografico di Bruno Fornasari, concreto nella gestione dello spazio e dei (numerosi) cambi scena. Ma è il ritmo drammaturgico che spesso pare incepparsi, appesantito da un testo che fatica a fare delle scelte. E da uno sviluppo altalenante, che si perde in rivoli e battutine. Perché cercare con tale frequenza la risata? Tridimensionale il lavoro sui personaggi, sostenuto da un buon cast dove emergono Sara Bertelà ed Emanuele Arrigazzi.

La violenta semplicità della sua figura paterna è fra le cose più riuscite. Si respira vita vera. Con la magliettina Kill your idol che indossava Axl Rose a Wembley nel 1992 (citazione di nicchia). Meno risolto il ruolo dell’artista. Peccato. Perché in realtà avrebbe potuto essere la chiave per aprire la riflessione a una più ampia digressione sull’arte e la comunicazione. In generale è l’intero progetto che pur portando molti (troppi?) argomenti in scena, fatica a spingersi in profondità. Chirurgica la regia di Fornasari: controllo e sobrietà, evitando di eccedere nell’autorialità. Molto anglosassone.