dal: 12-11-2018 al: 13-11-2018
Terminato
Via Rovello, 2, Milano
Tel: 848 800 304
Orari:

Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.

Prezzi: 12 < 32 €

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SCHEDA SPETTACOLO: RITRATTO DI DONNA ARABA CHE GUARDA IL MARE

Stagione 2018 -2019
Di Davide Carnevali
Regia di Claudio Autelli
Cast Alice Conti, Giacomo Ferraù, Giulia Viana e Michele Di Giacomo
Una produzione LAB121
Recensione di: Roberto Rizzente Voto 0

Il confronto/scontro tra Occidente e Medio Oriente, noi e l’altro, lo straniero: difficile trovare per la letteratura, non solo teatrale, un motivo più attuale – ma anche più abusato. Non sarebbe tuttavia il drammaturgo che è diventato, Davide Carnevali (con cui ha vinto il 52° Premio Riccione, NDR), se non avesse affrontato il tema da un altro punto di vista con il testo Ritratto di donna araba che guarda il mare.

Originale, soggettivo. Il confronto/scontro tra due sistemi linguistici. Prima che sui dissapori politici, le retoriche della migrazione, il testo è una riflessione sulle aporie della comunicazione. E allora eccola, la novità del testo: non la frantumazione della struttura, come negli altri lavori di Carnevali, ma la dissezione del segno linguistico, la relazione ondivaga tra il significato e il significante, e tra questi e l’azione. Quelle reticenze sommesse, dove a dominare è il non detto, sotto la forma. Giallo epistemologico: il Ritratto vive della valenza polisemica della parola. Nella versione scenica, Claudio Autelli è abile a cogliere questo elemento. A isolarlo e a restituirlo, moltiplicato. Perché come la parola, così la scena è giocata sull’ambiguità: è realtà, il modellino di un’indefinita città nordafricana, ma è anche mistificazione: si manifesta per il tramite della telecamera, che è essenzialmente un principio linguistico, l’inquadratura stabilisce gerarchie, giustapposizioni, censure. Lo stesso per la luce: il principio dialettico luce/ombra assolve a una funzione politica, soggettivizza ciò che decreta il Potere: nel finale, addirittura, sfuma in silhouette il momento dello scontro, quello che effettivamente accade è lasciato all’immaginazione. In questo universo magmatico, che certo risente di Koltès, Camus, sono bravi gli attori a muoversi. Restituiscono quella giusta dose di carnalità, verità, che impedisce al gioco intellettuale di avvitarsi su sé stesso, orientando la pièce su di un giusto equilibrio, che seduce e affascina. Un piccolo, interessante miracolo, che vale la pena seguire.