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SCHEDA SPETTACOLO: TRE ALBERGHI
Una suite in un albergo di Tangeri, Marocco. Un capanno di lusso sulla spiaggia di St. Thomas, Isole Vergini. Una stanza qualsiasi all’Hotel Principal di Oaxaca, Messico. Sono le location in cui lo scrittore e sceneggiatore californiano Jon Robin Baitz ha ambientato il suo testo Tre alberghi, scritto nel 1993. Il turismo non c’entra. C’entrano gli affari. E le logiche del mercato globalizzato. Baitz è figlio del dirigente di una potente industria alimentare americana, responsabile delle vendite in Africa e Sudamerica. Lo scrittore sa bene cosa significa “sviluppo” per un’impresa. Ma Tre alberghi non è un’analisi socioeconomica. Sono tre monologhi di un uomo malato di business e di sua moglie. Sono parole dentro alle quali si profila una tragedia. Ed è una storia che lascia ammutoliti, per il modo in cui le tattiche di un marketing globale, cinico, senza scrupoli (si tratta di “piazzare” nei Paesi in via di sviluppo tonnellate e tonnellate di latte in polvere per bambini) si scontrano con le emozioni primarie, pugni nello stomaco del benessere. Tra quel marito in ascesa e la sua vulnerabile consorte, Baitz segna una cicatrice indelebile. Un figlio, sedici anni, ucciso su una di quelle spiagge per un orologio. Tanto vale una vita, là dove più fortemente lo squilibrio economico arricchisce i ricchi e semina criminalità tra i poveri. Ai due attori – Francesco Migliaccio e Maria Grazia Plos – la regia di Serena Sinigaglia ha chiesto la credibilità del set e al tempo stesso l’intensità del teatro. Quella di Baitz è una scrittura cinematografica per ritmi, velocità, dinamismo. Ma scava anche tra i fantasmi della coscienza: qualcosa che solo il teatro sa fare bene. Teatro d’interpretazione, quindi, genere con il quale la Sinigaglia ci invita a superare l’abitudine a un consumo facile e superficiale di spettacoli. Per far questo, con la scenografa Maria Spazzi, dissemina la scena con un segno minimo, moltiplicato all’infinito, un simbolo, un richiamo etico. Barattoli, barattoli, barattoli, di latte in polvere. Che non migliora la vita di quelle popolazioni. Anzi, più facilmente la distrugge.