Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.
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SCHEDA SPETTACOLO: IVAN
Non si contano, anche solo considerando gli ultimi anni, le riduzioni dal Grande Inquisitore. Inserito, come tante altre volte in Dostoevskij, nel corpo di una narrazione maggiore – I fratelli Karamàzov – è forse il punto più alto della riflessione sul non senso, il male, la libertà cui arriva il grande scrittore. Come tale, è stato spesso portato in scena a mo’ di monologo, come apologo sull’infelicità umana, racconto esemplare e summa del pensiero dostoevskijano. Non fa eccezione questo Ivan: nonostante altra sia l’ambizione – ricostruire la vita del secondo dei fratelli Karamàzov – e molti altri i temi e gli episodi addensati, tre su tutti, il dolore inflitto ai bambini, l’incontro di Ivàn col diavolo, ma anche la morale del “tutto è permesso”, se Dio è morto – di fatto, lo spettacolo è una riproposizione del celebre dialogo tra l’Inquisitore e Gesù, che viene qui addirittura letto in scena. Ma se l’operazione può apparire filologicamente corretta e bene lascia intendere tutti gli snodi della riflessione di Ivàn – il dono troppo grande della libertà, cui l’uomo non sa rassegnarsi, preferendo il giogo dell’autorità e dell’oppressione – sul piano della narrazione, lascia più di un interrogativo aperto. Perché, ancora una volta, la densità dell’argomentazione crea una barriera inibitoria che blocca l’energia creativa di chi – Letizia Russo – è chiamato a tradurre per la scena quelle pagine, censurando o eccessivamente limitando episodi pure importanti per l’economia della vicenda (il rapporto di Ivàn col padre e coi fratelli). La regia di Serena Sinigaglia appare come inibita, sommessa e l’interpretazione di Fausto Russo appassionata ma anche, a tratti, forzata, eccessivamente caricaturale, poco lasciando intendere delle ragioni umane e psicologiche per cui Ivàn – protagonista della pièce – arriva a certe conclusioni. La stessa spirale impregnata di pagine, disegnata da Stefano Zullo – forse l’elemento di maggiore novità, rispetto alla tradizione – rimane esteriore, una bellissima scultura, alla Pomodoro quasi, che tuttavia non si compenetra nella scena, non la rivoluziona, non la direziona. Sì da ridurre Ivan, come tanti spettacoli prima, a una dimostrazione ennesima di forza e logica argomentativa. Che lascia più di un dubbio a chi del personaggio, il sottobosco di emozioni e sentimenti che a tratti affiora (e la riflessione, nello scrittore russo, è sempre “incarnata”), desidera sapere qualcosa di più. Magari con un pizzico d’inventiva. E, perché no, anche di eresia. Dostoevskij lo avrebbe, probabilmente, apprezzato. Eccessivamente caricaturale, poco lasciando intendere delle ragioni umane e psicologiche per cui Ivàn – protagonista della pièce – arriva a certe conclusioni. La stessa spirale impregnata di pagine, disegnata da Stefano Zullo – forse l’elemento di maggiore novità, rispetto alla tradizione – rimane esteriore, una bellissima scultura, alla Pomodoro quasi, che tuttavia non si compenetra nella scena, non la rivoluziona, non la direziona. Sì da ridurre Ivan, come tanti spettacoli prima, a una dimostrazione ennesima di forza e logica argomentativa. Che lascia più di un dubbio a chi del personaggio, il sottobosco di emozioni e sentimenti che a tratti affiora (e la riflessione, nello scrittore russo, è sempre “incarnata”), desidera sapere qualcosa di più. Magari con un pizzico d’inventiva. E, perché no, anche di eresia. Dostoevskij lo avrebbe, probabilmente, apprezzato