Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.
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SCHEDA SPETTACOLO: NACHLASS
Più teatrale del teatro, la vita. Raccolta in scatoloni che hanno attraversato il mondo. O riassunta in due parole e una manciata di foto. I Rimini Protokoll raccontano la morte. E per farlo, costruiscono un tempio alla vita. A quello che può essere stato il Nachlass (il lascito) di queste otto esistenze divenute materiale drammaturgico. Persone vere. Alcune già scomparse. Che ragionano sulla propria storia perdendosi nel dettaglio e nell’universale. Ogni esistenza si trasforma in una stanza colma di oggetti, ricordi, testimonianze audiovisive. Pochi minuti per visitare il microcosmo. Un tempo determinato rigidamente scandito da un conto alla rovescia elettronico. Poi si passa al prossimo.
E nella fruizione si respira la sensibilità svizzera sul fine vita: organizzata, razionale, cinica. Quello l’orizzonte culturale di riferimento, evidente già nelle coproduzioni. Mentre sul soffitto una proiezione in loop ci mostra le morti che si succedono ogni secondo nel mondo. Allegria.
D’accordo: tema non facile. Ma lo è mai il teatro che meglio riesce a raccontarci dell’esistenza? Il primo spunto riguarda i (nuovi) confini di un’arte in cui sono assenti attori e performer. Perché il lavoro è sostanzialmente un’installazione. Bellissima, certo. Ma un’installazione. Che infatti fa un po’ strano ritrovare come monolite nel cuore del Piccolo Studio, invece che al Mumok di Vienna. In un’atmosfera che fatica a sposarsi con il senso del progetto, partendo dalle maschere che gestiscono come vigili urbani gli spostamenti. Emotivamente l’esperienza rimane forte ma non è quel bagno di sangue che ci si potrebbe immaginare all’entrata. L’intuizione glaciale dei Rimini Protokoll è di normalizzare la morte, far emergere la banalità dell’esistenza. Quello che rimane fra le pagine chiare e le pagine scure, è quindi spesso un senso di noia, come una chiacchiera di troppo col vecchietto al parco. Più domande che intuizioni. Rimane un pugno allo stomaco la camera nichilista, dove ci si guarda negli occhi comprendendo la tragica insensatezza dell’esistenza. Assente l’empatia. Assente l’emozione. O quasi. Mentre la riflessione avrebbe potuto aprirsi più vasta, filosofica, collettiva. I compagni di viaggio sono infatti semplici comparse al nostro fianco. E così, nel cuore del teatro, per la prima volta, siamo soli. Era forse questo il senso di tutto?