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SCHEDA SPETTACOLO: Il Giardino delle ciliegie
Basta con i piagnistei. Oggi finalmente Cechov fa ridere. Un Cechov, certo, come non lo avete mai visto, quasi una scoperta. Dunque evviva queste superlative drag queens, guidate da Francesco Micheli, che hanno trasformato “i ciliegi” nelle “ciliegie”: solo personaggi femminili, Ljuba, Varja, Anja, Duniasa (più il vecchio Firs trasformato per l’occasione in prosperosa maggiordoma).
Micheli ha preparato la riduzione del testo nell’ambito del suo corso di regia all’Accademia di Brera (i cui allievi hanno collaborato a scenografie e costumi: magnifici!), costruendo un montaggio intelligente di battute. Così lo spettacolo e costituito da frammenti di testo collegati in modo da dare un’idea dell’azione, ma rovesciando il peso e le prospettive dei personaggi: si cominicia con lo stralunato monologo di Sarlotta, «Chi sono? Da dove vengo? Che farò?», dove tutto e indefinito, provvisorio, ambiguo. Sarlotta e in realtà il personaggio più anomalo: saltimbanca da strapazzo, fa giochi di prestigio da quattro soldi, nessuna la considera. Un’estranea, una diversa, buona chiave dello spettacolo.
Ma la trovata più riuscita sono gli stacchi musicali: tutti in playback, secondo le ferree regole degli spettacoli drag queen (tranne un’eccezione, Sax Nicosia, magnifica Sarlotta, magnifica voce), tutti volutamente ironici, scelti per sbeffeggiare certo sentimentalismo cecoviano troppo sottolineato dalla nostra tradizione registica. Cosi Varja intona Alle porte del cielo, zuccherosa melodia di Gigliola Cinquetti, così, quando Ljuba sogna di vedere la madre nel giardino, parte Per una bambola di Patty Pravo (ed entra una bambolona in carrozzina, sempre lo strepitoso Sax Nicosia), Duniasa si diletta con Se fossi più simpatica di Giuni Russo. Ogni numero musicale ha la sua coreografia: anche questo fa parte della tradizione drag queen, ma qui non sono solo balletti più o meno iperdanzati, c’è un riferimento preciso ai personaggi presi in giro e alla demenziale combinazione Cechov-musica leggera anni Settanta/Ottanta. Il finale unisce il divertimento alla malinconia: Ritornerai di Bruno Lauzi e Immensità di Mina servono da congedo e da lirico omaggio all’abbandono del giardino. Magnifiche, gustosissime ciliegie. Replicare, please.