dal: 03-05-2017 al: 06-05-2017
Terminato
Via Pier Lombardo, 14, 20135 Milano
Tel: 02 599951

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SCHEDA SPETTACOLO: IL DIO DI ROSERIO

DIO-DI-ROSERIO_milanoinscena
Stagione 2016-2017
Di Giovanni Testori
Regia di Fabrizio Gifuni
Cast Fabrizio Gifuni
Una produzione Solares Fondazione delle Arti
Recensione di: Sara Chiappori Voto 0

Esorbitante. Nel senso etimologico di “fuori orbita”, lanciato in una corsa smisurata che eccede categorie, generi, confini. Che cosa fa Fabrizio Gifuni quando prende pezzi di letteratura e li porta in scena? Non sono reading, per carità (e per fortuna), non sono monologhi, non sono banali passaggi da un supporto all’altro. Sono stupefacenti oggetti non identificati che cercano e trovano il teatro nascosto nel romanzo, il respiro del corpo dentro la geometria della pagina scritta, la sintassi misteriosa incuneata tra significato e significante, in quello spazio invisibile ma molto concreto di connessione tra ritmo e senso che ritrova il luogo dove i segni coincidono. L’abbiamo visto all’opera con Gadda, Pasolini, Camus, Bolaño e Cortazar, ma Il dio di Roserio, primo romanzo di Giovanni Testori, uscito nel 1954 (stesso anno di un altro esordio eccellente, Ragazzi di vita di Pasolini), segna uno nuovo scarto che lo avvicina ulteriormente alla performance risalendo alla composizione complessa delle sue particelle elementari. La storia è quella del proletario Dante Pessina, ciclista dilettante in fuga verso la vittoria da una vita di periferia e minestre riscaldate sulle strade della Lombardia. Pur di farcela, fa cadere il suo gregario, il povero Consonni, che batte la testa restando menomato per sempre. Di questa epopea spericolata per forma e lingua, Gifuni ha scelto il primo capitolo, quello con la storia editoriale più travagliata, in cui l’incidente è raccontato in prima persona dal Consonni in un lisergico contrappunto di flashback e soggettive in presa diretta. In equilibrio instabile su uno sgabello come su pedali da spingere con tutta la forza della disperazione, orchestra il suo prodigioso corpo scenico in progressiva espansione, assimilando fisicamente la ruvidità della lingua lombarda, il fiato animale della fatica, i pensieri sconnessi come quelle strade che schizzano sassi, il paesaggio che, sotto lo sguardo ansimante del ciclista, si destruttura in una sorta di allucinazione cubista. Il pubblico corre, suda e cade con lui. Il teatro è qui, nell’alchimia segreta che ingloba palco e platea trasformandoli in un unica entità che pulsa e respira all’unisono.