Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.
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SCHEDA SPETTACOLO: HAMLETMACHINE
A distanza di 31 anni dal suo debutto prima a New York (7 maggio 1986), e poi ad Amburgo il 4 ottobre dello stesso anno, alla presenza dello stesso Heiner Müller, che “pur essendo il suo teatro un mondo a se stante”, lo definì “Il migliore spettacolo di sempre” tratto dalle sue opere, possiamo finalmente vedere anche in Italia una ripresa di quella leggendaria rappresentazione di Hamletmachine, commissionata dal Festival di Spoleto 60 con la partecipazione degli allievi dell’Accademia Nazionale “Silvio d’Amico”.
L’incredibile, spiazzante e stupefacente messa in scena del testo di Müller sembra non avere perduto nulla della fascinazione visiva e della struttura inquietante ed anomala della rappresentazione originale, tranne probabilmente sul piano formale in questa edizione levigatissima, dal make-up perfetto curato da Manu Halligan, traslucido, incollato sulla pelle degli attori nonostante la potente luce di quei riflettori puntati vicino a loro e collocati in un apparato illuminotecnico, come al solito, impeccabile. Un quadro scenico da opera d’arte, pronto per essere fotografato, ma quando lo spettacolo ha inizio la macchina scenica che si mette in moto non riguarda più soltanto Hamlet e altri testi di Müller o Shakespeare (Macbeth, su tutti,e i Sonetti), o quel beckettiano albero stilizzato, secco e spoglio ripresi soprattutto per suggestioni di immagini, ma il mondo visionario di Bob Wilson con tutte le sue calibratissime allucinazioni visive che coltiva come mito personale.
Assembla e dipana con consumata strategia scenica le tante azioni che compiono i quindici attori in quello spazio rettangolare circoscritto come un ring, ne sviluppa e moltiplica a vista gli sguardi, le prospettive materiali (della scena) e intime (dei personaggi) in un disegno complessivo brechtiano ed espressionista la cui eccessiva eleganza (il “ragazzo d’oro”) fa paradossalmente da schermo alla dinamica e alla condivisione totale di questa glaciale Wilson-fantasie.