dal: 22-11-2016 al: 27-11-2016
Terminato
Via Privata Hermada, 8, 20162 Milano
Tel: 02 6420761
Orari:

Martedì – sabato ore 20.30
Domenica ore 17.00
Lunedì riposo

Da maggio:

Lunedì – sabato ore 20:30, Giovedì ore 19.30, Domenica riposo

Prezzi: 9 < 15 €

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SCHEDA SPETTACOLO: GOLI OTOK. Isola della libertà

Stagione 2016-2017
Di Renato Sarti
Regia di Renato Sarti
Cast Elio De Capitani e Renato Sarti
Una produzione Teatro Dell’Elfo
Recensione di: Claudia Cannella Voto 3.5

Goli Otok. Isola calva. Un ammasso di pietre al largo della Dalmazia settentrionale. Lì, dal 1949 al 1956, era attivo il peggiore dei campi di internamento voluti da Tito nell’ex Jugoslavia dove, dopo la rottura con l’Unione Sovietica, furono rinchiusi i “traditori” rimasti fedeli a Stalin e i dissidenti rispetto all’ideologia governativa. Come Aldo Juretich. Renato Sarti trova la sua storia in un libro di Giacomo Scotti (Goli Otok. Ritorno all’isola calva, 1991) e scopre Juretich, uno dei pochi sopravvissuti. Vuole saperne di più e lo incontra per una prima intervista nel 2002. Diventano amici e Aldo decide di raccontare tutto. Da quella testimonianza- fiume, Sarti ricava Goli Otok. Nella finzione scenica un medico di origine croata, dopo aver letto il libro di Scot ti, scopre che Juretich è uno dei suoi pazienti e lo convince a rievocare quella drammatica esperienza fatta di fame, sete, sporcizia, malattia, umiliazioni e torture. Per non parlare del secondo inferno a cui andavano incontro i sopravvissuti, tenuti a distanza da tutti e controllati dai servizi segreti per molti anni. A incarnare Juretich, quel suo modo di raccontare, pacato e tormentato al tempo stesso, ma non privo di lampi sornioni, è un Elio De Capitani concentrato, intenso nel rigore minimale dei gesti e dell’eloquio. Giusto un tavolo coperto di carte e un paio di sedie come punti di appoggio. A incalzarlo nel racconto, Sarti è un medico pieno di umano pudore, anche se un po’ impacciato e legnoso, quasi intimidito dal personaggio (e forse anche dall’attore) che ha di fronte. Peccati veniali, a fronte di un dialogo, quasi un monologo, che assume i toni dell’oratorio laico, della testimonianza pronta a farsi carico del proprio dolore in nome del bene comune di una memoria condivisa. Perché tutto ciò non accada più.