Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30
*Sala soggetta a cambio d’orari.
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SCHEDA SPETTACOLO: COLLABORATORS

Censura e libertà artistica, asservimento al potere e indipendenza dell’intellettuale: sono temi attualissimi, quelli trattati da John Hodge, in Collaborators.
Il casus belli, qui, è l’incontro tra Iosif Stalin e Michail Bulgakov, l’autore del Maestro Margherita, cui viene imposta la stesura di una pièce per celebrare il sessantesimo compleanno del dittatore. Solo che, ed è il marchio di fabbrica dello sceneggiatore di Trainspotting, la situazione, che fa riferimento a quanto accadde a Mosca nel 1939, viene trattata in un modo nuovo, che muta la prospettiva storica. Perché diverso è il ritratto che del Potere viene restituito: il rapporto tra i due contendenti non è costruito sulla dialettica servo-padrone, piuttosto, è il confronto/scontro – tanto più ambiguo, forse addirittura immaginato – tra amici.
Nella sua messinscena per i 220 anni dell’Accademia dei Filodrammatici, Bruno Fornasari è bravo a cogliere questo snodo fondamentale. Comprende il potenziale di una relazione così impostata e se ne fa carico: Alberto Mancioppi è uno Stalin ridanciano e godibilissimo, tra il diavolo di Ivan Karamazov e un qualunque contadinotto della provincia russa, istrione e gigionesco, che impone la sua forza d’attrazione sull’intellettuale Bulgakov, il problematico Tommaso Amadio, piano conquistandone – con la simpatia, la semplicità, complicità – la fiducia, fino allo scambio dei ruoli.
I puristi potrebbero, a questo punto, storcere il naso: non era, quello della censura, un tema serissimo, da trattare con il dovuto rispetto? Fornasari riesce invece, proprio in virtù della farsa, a illuminare quanto è nel fondo del testo, la sua ragione sommessa, allentando la tensione per poi calcare la mano – con un effetto tanto più tragico – nel secondo atto, quando la finzione è svelata e il “mostro” Stalin rivela il suo vero volto.
E poco importa, allora, se non tutti gli attori sono all’altezza. Se la scenografia è ottusa, chiusa in un passatismo fine a sé stesso, senza spiragli, direzioni di senso. Collaborators è un miracolo di equilibrio e intelligenza registica. Spiazza le aspettative dello spettatore, facendo sentire sulla pelle tutta la fascinazione per il male e l’irragionevolezza del Potere. In nulla sacrificando la complessità impressa alla vicenda da Hodge, ma anzi denunciando i meccanismi della censura laddove questi si fanno più forti, seducenti, perversamente totalizzanti: la manipolazione delle coscienze.