Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30
*Sala soggetta a cambio d’orari.
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SCHEDA SPETTACOLO: MARYAM

Maria è, secondo la tradizione evangelica, la madre di Gesù, figura tra le più venerate del Cristianesimo. Pochi sanno, tuttavia, che è un personaggio cardine anche per l’Islam: la Basilica dell’Annunciazione a Nazareth è, da sempre, il crocevia di un pellegrinaggio multiconfessionale. In Maryam, omaggio – se così si può definire – che a Maria fanno, Luca Doninelli e il Teatro delle Albe (alla loro seconda collaborazione, dopo La mano) scelgono di ripartire da qui, dalla considerazione che gli altri – i “nemici”, secondo il populismo corrente, i musulmani – hanno della madre del Dio Cristiano. E lo fanno attraverso la preghiera di tre donne palestinesi, che alla Vergine si rivolgono, alternativamente, per cercare vendetta, lenire la propria sofferenza di donne, mogli e madri. Fino alla risposta della stessa Maria. Uno spunto originale, come si vede, radicale e necessario, che se da un lato rinnova la tradizione della preghiera, persino innestando profonde e potenzialmente blasfeme (la Madonna che ancora non perdona Dio per aver sacrificato suo figlio) riflessioni intorno al Sacro, dall’altro ribadisce i legami con l’attualità, potendo combinare alla descrizione di uno spaccato di vita un’analisi attenta e mai peregrina della grande Storia, tra la guerra civile in Libia, Siria e il dramma degli attentatori suicidi e dei profughi, trascendendo un dolore che da domestico si fa archetipico, universale. Né la messinscena di Marco Martinelli è minoritaria nel rendere il corpo a corpo tra pubblico e privato, presente e passato: il tappeto musicale di Luigi Ceccarelli e quello sonoro diretto da Marco Olivieri evocano antiche ed ancestrali melodie, mixandole con una cacofonia tutta contemporanea, fatta di urla, pietre che precipitano. Il video di Alessandro Renda, i giochi di luce di Francesco Catacchio sono altrettanto cospiranti nel ricreare tanto l’intimità della Basilica, il volto di una donna, i testi della tradizione, quanto la dimensione erratica della piazza, le scene dell’esodo, le devastazioni in città. Ma, su tutti, è la prova di Ermanna Montanari – con la modulazione e le cadenze ieratiche della voce, la postura del corpo, così simile a quella di un idolo – a fare da collante tra i piani in cui è scandita la narrazione, valorizzandone le riposte sfaccettature e conferendole la giusta dose di pathos. È lei, un cantastorie dei tempi andati – griot, parafrasando la ricerca delle Albe di qualche tempo fa – a innalzare una vicenda “umana troppo umana” ai vertici della poesia e a costruire, nel nome di Maria, quel “ponte” fra i popoli che è forse il messaggio più pregnante che il testo di Doninelli vuole dare.