dal: 17-05-2018 al: 27-05-2018
Terminato
Via Rivoli, 6, Milano
Tel: 848 800 304
Orari:

Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.

Prezzi: 12 < 32 €

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SCHEDA SPETTACOLO: SANTA ESTASI

Stagione 2017-2018
Di Camilla Mattiuzzo, drammaturghi al progetto Federico Bellini e Linda Dalisi, Francesca Merli, Martina Folena, Matteo Luoni, Pablo Solari, Riccardo Baudino e Silvia Rigon
Regia di progetto speciale pedagogico diretto da Antonio Latella
Cast Alessandro Bay Rossi, Alexis Aliosha Massine, Andrea Sorrentino, Barbara Chichiarelli, Barbara Mattavelli, Christian La Rosa, Emanuele Turetta, Federica Rosellini, Gianpaolo Pasqualino, Giuliana Vigogna, Ilaria Matilde Vigna, Isacco Venturini, Leonardo Lidi, Ludovico Fededegni, Mariasilvia Greco e Marta Cortellazzo Wiel
Una produzione con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e Emilia Romagna Teatro Fondazione
Recensione di: Claudia Cannella Voto 3.5

Gli Atridi. Santa Estasi. Un microcosmo in cui è racchiusa la storia delle possibili e impossibili relazioni famigliari dell’Occidente. Archetipi che attraversano 2.500 anni. Luogo dove nasce l’embrione di Amleto. Paradiso di psicanalisti. E anche di registi. Palestra di grandi pedagogie, teatrali ed esistenziali. Una famiglia terribile, dove tutti sono imparentati in modo più o meno legittimo e spesso ai limiti dell’incesto, dove lo scontro generazionale tra padri e figli è costellato di cadaveri, dove non si esita ad ammazzare bambini per poi servirli a tavola all’ignaro padre (Tieste), dove i genitori uccisi lasciano sul campo orfani smarriti pronti poi a trasformarsi in vendicatori (Oreste, Elettra), dove gli dei sono beffardi. A questa grande Dinasty dell’antica Grecia, attingendo a Seneca (Tieste), Sofocle e soprattutto a Euripide, Antonio Latella ha dedicato uno dei progetti pedagogici più imponenti e intensi di questi ultimi decenni. Santa Estasi, il titolo, “che ha a che fare con la condizione dell’attore che si lascia attraversare dalle parole, dal mito, dagli archetipi, dalla frammentazione del pensiero”, fa capo alla Scuola di Alta Formazione di Ert, che ci ha investito 300mila euro.

Tutto inizia nel 2015 con un bando a cui rispondono in 500. Da una selezione su curriculum prima e su provino dopo (maggio 2015), vengono scelti 16 attori, ai quali si aggiungono 7 drammaturghi, sempre selezionati da Latella dopo un seminario da lui condotto alla Scuola Paolo Grassi di Milano. Quasi cinque mesi di prove tra la Corte Ospitale di Rubiera e, a Modena, alla Scuola di Ert e al Teatro delle Passioni.

Si comincia con Ifigenia in Aulide, adattato da Francesca Merli da Euripide, con un prologo dal Tieste di Seneca a raccontare l’antefatto terribile di tutta la saga: Atreo, nel timore che il fratello Tieste gli usurpi il trono, gli uccide i figlioletti e glieli serve in tavola; Tieste maledice lui e la sua progenie, Agamennone e Menelao. Rumore di onde e salto di una generazione. Siamo in Aulide, dove, per favorire la spedizione contro Troia, Agamennone deve sacrificare agli dei la figlia Ifigenia. Tutti sanno, ma nessuno fa niente per sventare l’atroce delitto perché tutto è calcolo – politico, famigliare, erotico – e la menzogna (altro tema caro a Latella) si insinua nei discorsi di tutti. Un altro padre che uccide un figlio, in questo caso una figlia, con cui probabilmente ha un legame incestuoso. Un altro eroe fragile che viene “salvato” da una giovanissima, per giunta donna.

“Nei primi mesi di lavoro li ho fatti lavorare sul punto di vista dei bambini, perché mi interessava che si trasformassero in bambini che giocavano a fare gli eroi. Guardare con occhi infantili mostra una fragilità che li riguarda. Soprattutto laddove il peccato originale è l’uccisione dei figli. La famiglia rimane il nucleo tragico per eccellenza”. Anche la “tragedia-non tragedia” Elena ha un prologo, ricavato dalle Troiane, dove viene ucciso un bambino, Astianatte, figlio di Ettore, altra interruzione di progenie regale. Qui la riscrittura di Camilla Mattiuzzo ci mostra una Elena, alcolizzata e un po’ schizofrenica, interpretata da sette attrici all’unisono a rappresentare l’animo scisso di una donna che vagheggia un’improbabile fedeltà verso il marito Menelao. Ironia e sarcasmo, parodia e grottesco, molti segni pop e da avanspettacolo a scandire una tragedia poco credibile. Per concludersi con atmosfere da telefoni bianchi e da film di Antonioni, con Elena che liquida al telefono il principe egiziano in doppiopetto grigio che voleva sposarla, mentre è a letto di nuovo con Menelao, ripresa di un logoro menage coniugale. Siamo già alla tragedia borghese.

A quelle traiettorie attraverso i secoli che piacevano tanto a Massimo Castri, capace di portare Euripide fino a Ibsen, Goldoni fino a Pirandello e Cechov fino a Beckett. “La sua lettura dei tragici – spiega Latella, che a lungo lavorò con il regista toscano – è qualcosa che mi porterò dentro per sempre e il suo insegnamento resta enorme. Così come il tema dei bambini morti e degli orfani, che in Castri era molto forte. E infine anche la capacità di trovare sempre lo sberleffo, di mettere i baffi alla Gioconda per sorridere degli dei e degli uomini, anche nei momenti più tragici”.

E poi, aggiungo, la capacità di insegnare che è anche di Latella: rigoroso, autorevole, capace di fulminarti con uno sguardo e un silenzio, ma anche dotato di una grande capacità di ascolto e di empatia, generoso nella creazione quanto esigente, con se stesso e con i ragazzi che, alla fine dei cinque mesi, sono pallidi, dimagriti, acciaccati, ma con la luce negli occhi di chi ha fatto un’esperienza unica. Sono tutti bravissimi, questi i loro nomi: Alessandro Bay Rossi, Barbara Chichiarelli, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Mariasilvia Greco, Christian La Rosa, Leonardo Lidi, Alexis Aliosha Massine, Barbara Mattavelli, Gianpaolo Pasqualino, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino, Emanuele Turetta, Isacco Venturini, Ilaria Matilde Vigna e Giuliana Vigogna.

Finalmente la guerra di Troia finisce, si torna a casa. Ma forse è anche peggio. Nell’Agamennone, riscritto da Riccardo Baudino da Eschilo, domina un monolitico rigore linguistico, con un coro di stupefacente concentrazione a scandire all’unisono in latino e greco antico, mentre agli eroi sono lasciati versi in un italiano alto, con echi tra Alfieri e Pasolini. Ad Argo ricominciano le vendette in seno alla famiglia degli Atridi. Clitemnestra e il suo amante Egisto uccidono Agamennone e la sua schiava-concubina Cassandra. Ora il testimone della vendetta passa ai figli, Oreste ed Elettra, alla quale è intitolata la tragedia euripidea adattata da Matteo Luoni con uno scarto continuo tra azione narrata e azione vissuta in prima persona dai personaggi. Con il terzetto dei giovani assassini – compare Pilade – dominato dalla paura di uccidere, della morte, del nulla, della separazione dagli affetti, come nella struggente scena iniziale in cui Elettra veste il cadavere del padre quasi in una danza che la riporta a gesti infantili di un tenero legame.

È però nell’Oreste euripideo, adattato da Pablo Solari, che si sente più forte il gioco delle traiettorie di castriana memoria dalla tragedia antica al dramma borghese, passando per Amleto, per arrivare a Pirandello e a certa drammaturgia nordica contemporanea: Oreste è lo stratega-regista di un piano, entra ed esce dal suo personaggio, realtà e finzione si mescolano così come attori e personaggi. I tre giovani vendicatori rimangono soli con le loro responsabilità, smarriti e confusi (anche eroticamente) in viaggio verso la vita adulta.
Ma è nella dimensione onirica delle Eumenidi di Eschilo, adattata in versi da Martina Folena, che Oreste riesce ad affrontare i suoi fantasmi e ad attraversare il suo dolore diventando finalmente uomo.

La conoscenza è mezzo per sopravvivere, ma anche possibile fonte di guai e di distruzione come emerge dal dialogo “filosofico” tra Ifigenia e Toante nell’Ifigenia in Tauride, riscritta da Silvia Rigon da Euripide.
Rimane su tutto il desiderio di ricomporre una famiglia ideale, toccante atto finale quasi senza parole che, in Crisotemi, scritto da Linda Dalisi, drammaturga tutor dell’intero progetto insieme a Federico Bellini, vede i vivi e i morti riuniti intorno a una grande tavola apparecchiata.