dal: 03-04-2018 al: 08-03-2018
Terminato
Via Mac Mahon, 16, 20155 Milano
Tel: 02 3453 2140
Orari:

Martedì/venerdì h. 20.45.
Sabato h. 19.30.
Domenica h. 16.

Prezzi: 9 < 18 €

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SCHEDA SPETTACOLO: UNA RAGAZZA LASCIATA A METÀ

Stagione 2017-2018
Di Eimear Mcbride
Regia di Elena Arvigo
Cast Elena Arvigo
Recensione di: Renzo Francabandera Voto 3

Leggere e mettere in scena. È cosa che la nostra mente fa spesso automaticamente. Lo impone la lettura come forma di proiezione di senso, come nel caso delle immagini che un romanzo ci evoca nella fantasia. Proiezioni immateriali, quasi oniriche. È per questo che spesso la visione di un film o di uno spettacolo ci delude quasi a prescindere dal suo valore intrinseco: questo si dà semplicemente perché ammazza il nostro mondo fantastico.

Sceglie dunque di non dar corpo allo psicodramma di ammazzare il suo incontro fantastico con la lettura del romanzo gioiello di Eimear McBride, l’attrice Elena Arvigo in questa trasposizione del testo letterario per la scena.

E lo fa con un un meccanismo molto semplice: lo ambienta nella sua dimensione periferica, arida, spoglia, ma lo lascia intatto nei suoi personaggi, che non vengono profondamente agiti o interpretati, ne’ nella riscrittura drammaturgia. Il testo è lì, e viene quasi letto, per gran parte: a prendere la scena è proprio l’atto della lettura. La scenografia è fatta di leggii. Quindi è chiaro che è questo l’espediente e l’idea con cui la Arvigo ci chiede un confronto, rispetto alla parola che non nasce come drammaturgica ma lo diventa in questo allestimento. Ai leggii l’attrice quasi si aggrappa, un circolo che diventa via crucis dei personaggi della vicenda, ognuno con i suoi fallimenti, ognuno coi suoi irrisolti, ognuno col suo deserto dentro.

Il bulimico appagarsi della donna che sazia e lenisce i suoi dolori in relazioni fisiche sempre più consumate è contraltare di una figura maschile dal sentire e dal corpo ferito. Due fratelli, come quelli della Kristof nella trilogia, ma che non sviluppano qui la salvifica modalità cooperativa che in quell’altro romanzo lì salva.

Il ritorno al monologo da parte dell’interprete, pur ponendo ancora in luce alcune innegabili e potenti cifre interpretative che le sono peculiari, ribadisce la necessità nel suo processo creativo di uno sguardo esterno capace di segnare direzioni. Una regia è infatti un atto di fede verso un’intelligenza altra, capace di accogliere la complessità del personaggio e di chi lo interpreta. Qui, in questo processo di auto-regia, in qualcosa l’accoglienza totale è mancata e quindi  le profondità non riverberano con tutta la forza necessaria.