Giovedì, venerdì, sabato, domenica h 20,45.
Serate Doppio Spettacolo: Inizio spettacoli ore 20,30
Calcola percorso
Potrebbe interessarti anche
La notte di Antigone
Io, Vincent Van Gogh
Partenza in salita
Aspra + The Verge of Ruin
SCHEDA SPETTACOLO: MALAGRAZIA
Amplificatori di suoni disturbanti sono i vertici del triangolo dell’esistenza all’interno del quale è inscritta la vita dei due orfani protagonisti di Malagrazia, il testo scritto da Michelangelo Zeno per Phoebe Zeitgeist e affidato come gli altri lavori del gruppo di ricerca teatrale, alla regia di Giuseppe Isgrò.
Una regia che, come i precedenti lavori, si arma di una modalità scenica inconfondibile, espressione della cifra registica e culturale di un gruppo di ricerca e sperimentazione che ha fatto dell’interferenza, dell’interruzione spastica, la cifra di comunicazione con lo spettatore. Evidentemente convinti (e per il vero assai spesso a ragione) del blocco creativo e della banalizzazione dei segni del presente artistico della scena italiana, Isgrò e i suoi compagni di viaggio, come la dramaturg e studiosa d’arte contemporanea Francesca Marianna Consonni, scelgono un canale di trasmissione dalle frequenze disturbate.
Malagrazia è la vicenda di due fratelli orfani che cercano una via d’uscita dall’oppressivo stato della vita che li ospita. Sembrano essere quasi ospiti di un rifugio antiatomico, rivolti a testa china verso un mondo esterno rispetto al quale proiettano platonicamente l’idea, senza che mai lo spettatore possa sapere se è vera o è falsa. Certamente un extra mondo inospitale, che ha condizionato e continua a condizionare un sistema di scelte asfittico e soffocante, chiuso in un ambiente senza luce. Fuori la storia, il rapporto con la funzione genitoriale, gli altri, dentro l’inespresso, l’adolescenza, il dilemma del ponte verso l’età adulta, l’età delle scelte, che i due faticano a compiere, in un eterno agitarsi e rincorrersi che non porta però da nessuna parte. Generose le interpretazioni di Edoardo Barbone e Daniele Fedeli, precisa e tagliente la regia di Isgrò, capace di rivolgersi ad un simbolismo archetipico di sicura presa. La drammaturgia si nutre di una parola poetica, la cui cifra però non arriva a definitivo compimento di senso.