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SCHEDA SPETTACOLO: L’ORA DI RICEVIMENTO
È molto più vicino a un racconto letterario, intimo, “di formazione”, che a un testo teatrale vero e proprio, questo ultimo lavoro di Stefano Massini, se non fosse per quei dialoghi incalzanti, forsennati, che stanno nel bel mezzo di due monologhi posti all’inizio e alla fine di una commedia “eduardiana” per modalità di scrittura e impianto drammaturgico. Opera molto particolare, da cui traspaiono ottime letture, buoni e civili sentimenti, una reale attenzione a problematiche sociali dell’oggi. L’impressione è, però, che tutto sia già stato detto e capito, come fossero storie lontane, prive di interesse, che non ci appartengono. E che non riescono neppure a emozionarci per l’eccesso delle continue esemplificazioni, la prevedibile ripetitività delle entrate e delle uscite di scena dei vari personaggi e dei loro “casi” privati, familiari, di (difficile) integrazione sociale a cui l’insegnante offre generoso ascolto nella sua ora di ricevimento. Un via vai di luoghi comuni, una campionatura quasi completa delle varie tipologie di emarginazione in una banlieue del sud della Francia, ma come potremmo ritrovare in qualsiasi regione d’Italia. Ed è proprio questa genericità di fondo a rendere la rappresentazione scarsamente credibile e inautentica nonostante la bravura di tutti gli interpreti, in particolare di Fabrizio Bentivoglio che dà al suo professor Ardeche i toni semplici e sommessi di un maestro sognatore vicino alla pensione. La vera sorpresa del finale è che quegli incontri con i suoi giovani alunni suddivisi in «raffreddori» («vivono per difendersi dal freddo anche se fa caldo») e «invisibili» («sono i ragazzini che stanno in classe senza starci»), i loro genitori, i colleghi non li ha vissuti veramente, se li è solo immaginati. Un sogno, ma forse no. In questa doppia chiave di simbolismo e realismo pirandelliano Michele Placido ha costruito la sua sobria e puntuale regia.