dal: 16-01-2018 al: 21-01-2018
Terminato
Corso Buenos Aires, 33, 20124 Milano
Tel: 02 0066 0606
Orari:

Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30

*Sala soggetta a cambio d’orari.

 

 

Prezzi: 13,50 < 33 €

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SCHEDA SPETTACOLO: L’ETERNITA’ DOLCISSIMA DI RENATO CANE

Stagione 2017-2018
Di Valentina Diana
Regia di Vinicio Marchioni
Cast Marco Vergani
Una produzione Khora.Teatro
Recensione di: Renzo Francabandera Voto 3

Che la morte possa disvelare la verità dei rapporti umani è un topos letterario. Che il desiderio della pace eterna possa diventare preferibile al vivere è invece un passo filosofico ulteriore ma a cui è lecito rivolgere pensieri più o meno filosoficamente strutturati, in tempi di dibattito sul delicato confine fra essere e non essere, sofferenza e pietà sono nel dibattito pubblico.

Ci prova Marco Vergani, interpretando il monologo di Valentina Diana L’eternità dolcissima di Renato Cane, diretto da Vinicio Marchioni. La vicenda è quella dell’uomo medio con famiglia e buon lavoro, della diagnosi che nessuno vorrebbe avere, del conto alla rovescia che parte, e dei pensieri su quello che si ha, quello che ci aspetta, l’essere, il non essere. E soprattutto provare a vendere bene la possibilità del non essere.

Dilatare in un’oretta di spettacolo quello che William Shakespeare ha condensato in Amleto nel celebre monologo di pochi minuti è operazione sempre sfidante ma che viene affrontata qui con ironia e un piglio volto a dare spazio al potenziale espressivo dell’attore. Oltre a una sedia e dei neon colorati in prospettiva discendente ai lati dell’interprete, pochi altri elementi, per lo più di natura simbolica, a riportare all’universo affettivo e del quotidiano. Il resto è un buon disegno luci.

La regia di Marchioni lascia a Vergani e alle sue qualità interpretative e mimetiche la resa dei diversi personaggi, la cui cifra grottesca vibra di espressionistico cinismo.
Si avverte la sensazione che la scrittura forzi in alcuni punti la mano per arrivare a suffragare la tesi che sia preferibile la fine e la dolcissima eternità, appunto, descrivendo un sistema di relazioni convenzionale, chimico, vuoto, attorno all’uomo Cane; e si avverte altresì quanto di tanto in tanto l’attore forzi la mano alla regia, abusando un po’ del potere dell’istrione che, navigando sul tortuoso fiume dell’ironia, tocca qui e lì le rive del parossismo, senza aggiungere sempre senso (uno per tutti: i treni non traballano come l’attore finge in scena da inizio del secolo scorso…).

Misurando queste spinte, è possibile ancora più nitore concettuale, vibrando con più efficacia sul confine fra dramma e farsa.