Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30
*Sala soggetta a cambio d’orari.
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SCHEDA SPETTACOLO: UNA BESTIA SULLA LUNA
La bestia sulla luna del titolo fa riferimento alla stupidità di quei turchi che, agli inizi del secolo scorso, credevano di potere sparare e uccidere quella parte di superficie lunare oscurata da una eclisse: ignoranza e idiozia che furono alla base dello sterminio del popolo armeno. Ma questa potente immagine simbolica rimane inchiodata nel frontespizio del testo, senza farla diventare metafora del primo genocidio perpetrato in Europa prima dell’Olocausto.
Infatti, a parte lo spunto iniziale e alcuni rimandi storici a quegli assassinii di massa, il testo sembra volere rinviare, soprattutto dal punto di vista della scrittura drammatica, a quel periodo di storia del teatro americano degli anni ’20-40 in cui è ambientata la vicenda di Aram Tomasian che, uccisi dai Turchi i membri della sua famiglia, va in America per rifarsi una famiglia. Sposa per procura una giovane armena, Seta, anche lei orfana, che lo raggiunge a Milwaukee per iniziare una nuova vita. Lui fa il fotografo, e ai ritratti della sua famiglia “decapitati” desidera sostituire nuovi volti. Ma Seta non riesce a dargli la prole sperata, e questo sarà motivo di liti, silenzi, sopiti rancori. Finché il caso porta Seta a incontrare un piccolo orfano che porta a casa e convince Aram ad adottare.
La storia di Aram e Seta è raccontata, attraverso uno dei luoghi comuni più persistenti della drammaturgia americana, da Vincent, il figlio adottivo ormai settantenne. Ma quello che manca al testo è proprio una specifica ragione teatrale, oltre alla totale assenza di un linguaggio scenico contemporaneo, che stupisce maggiormente visti i tanti premi che questo dramma ha ricevuto fin dal suo debutto Off-Broadway.
Elisabetta Pozzi e Fulvio Pepe, rispettivamente Seta ed Aram, per quanto sensibili e bravi, possono fare poco per risollevare le sorti di un testo che somiglia tanto a uno sceneggiato televisivo italiano degli anni ’60 e che il regista Andrea Chiodi sembra fare di tutto per spingere in questa direzione.
La recensione è pubblicata sul numero 2.2018 della rivista Hystrio