Salvo diversa indicazione, gli orari degli spettacoli al Piccolo sono: martedì, giovedì e sabato, 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.
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SCHEDA SPETTACOLO: Incendi
Trapiantare una tragedia antica nel Medio Oriente dissestato: è questo l’assunto di Incendi, seconda tappa della “tetralogia della memoria” Il sangue delle promesse di Wajdi Mouawad, talentuoso drammaturgo libanese, oggi emigrato in Canada. Lo spunto è il mito di Edipo, lo scenario il Libano in guerra, il risultato uno spettacolo che solo apparentemente ha a che fare col teatro d’inchiesta oggi in voga: l’angolatura, il sostegno, è lo scandalo del non sapere, fino alla rivelazione finale. Edipo, appunto.
Si accumulano allora, come in una pièce alla Sarah Kane, i colpi di scena, mentre il sangue gronda. Ma, insieme, la realtà si espande, esacerbando i confini del conflitto per redimerlo in un più ampio orizzonte che ha a che fare coi destini ultimi dell’uomo. Non era facile rendere tutto questo, mescolare l’alto col basso: Mouawad riesce nel miracolo. Un po’ perché quella terra la conosce da vicino, il senso dello sradicamento è in lui legittimo, fondante. E un po’ per l’intuizione di prendere a pretesto la struttura di un thriller, in sé ben congegnata, per ordinare una materia altrimenti debordante. Tanto che nulla, nel testo, appare forzato, eccessivo: la lettura del testamento, la simbologia dei due gemelli, lei matematica e lui pugile, l’efferatezza dei delitti commessi dal padre, la fuga della madre, l’incontro col secondino.
Più incerto è invece Guido De Monticelli nel dare corpo alle ossessioni di Mouawad. Perché se gli attori, bene o male, fanno onestamente il proprio dovere, nonostante le isterie e le semplificazioni nei toni, le posture, di matrice anche cinematografica, più scontato appare lo scenario. Puramente didascalico, diremmo. Uno sdoppiamento di piani, sedie, sabbia, un video, il passato in basso, il presente in alto, prima dell’inevitabile fusione. Routine, insomma, che si limita a giustapporre i livelli della storia senza scavare a sufficienza nel legame che li unisce e, soprattutto, senza interpretare – e di conseguenza visualizzare – quello che è il senso più vero e riposto della pièce: l’insondata, faticosa, ricerca del chi siamo, perché viviamo.