dal: 02-02-2018 al: 04-02-2018
Terminato
Via Tertulliano, 68, Milano
Tel: 02 4947 2369
Orari:

Da mercoledì a sabato ore 21.
Domenica ore 16.30 (maggio e giugno ore 20.30)

Prezzi: 10 < 16 €

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SCHEDA SPETTACOLO: IL FIORE DEL MIO GENET

Stagione 2017-2018
Di Andrea Cramarossa
Regia di Andrea Cramarossa
Cast Domenico Piscopo e Federico Gobbi
Una produzione Teatro Delle Bambole
Recensione di: Emilio Nigro Voto 0

La disperata bellezza dell’umanità dei bassifondi. Il potere taumaturgico dell’arte a tratteggiarla con lirismo. Donare allo sguardo – e redimere, restituire dignità – le fattezze spregiudicate di fuorilegge, assassini, papponi, femminielli. Dipingerli di poetica visione, di struggente smalto estetico: restituire per la scena e le sue meraviglie sconvolgenti icone d’eroismo. Fiori, li definiva Jean Genet. Il dannato. Il martire. Fiori, simbolo, in fondo, di uno smisurato amore represso. La scena prende vita dalla platea: i protagonisti (due) portano a spalla una madonna infiorata (la Notre dame des fleurs, romanzo d’esordio di Genet). Una lenta processione laica e mistica. Vengono in mente i corpi straziati e portati in spalla negli spettacoli comunitari del Living Theatre, rituali di commemorazione dei dimenticati. E per più di un’ora si susseguono quadri rappresentativi dei vissuti degli appartenenti al mondo degli ultimi, drammatizzati dalla letteratura dell’autore francese. Personaggi calibrati nel rigore della forma e dell’esercizio tecnico (lo studio sul personaggio a determinarne movimento e drammaturgia) ma liberi di santificarsi in esposizioni sviscerate a esplicitare l’autorialità attoriale. Avere coscienza della parte per comunicare alle coscienze degli spettatori: rendere duplice, reciproco, il patto silente tra pubblico e attori. Storie di espedienti, di esclusive pratiche possibili, tramutate in un linguaggio volutamente balbuziente, afasico, metafora dello “scorretto”, del non allineato, non conforme alle grammatiche assimilate. L’oggettivazione scenica nei mezzi scenografici che ricordano gli intimi drammi di Moscato, di Ruccello, di Patroni-Griffi: l’inquietante poesia del miserabile sacralizzata dal teatro. La grafia quindi non artefatta a produrre una spettacolarizzazione povera ma penetrante. Per non distogliere dalla relazione, non drogare lo sguardo. Qui e lì le meccaniche di scena svelano una fattura perfettibile e un compiacimento auto-contemplativo, stagnando nel reiterato e nella mancanza di ritmo. Spettacolo necessario. Ad uscire dalle pose e ritrovare respiro.