dal: 03-04-2016 al: 05-04-2016
Terminato
Via Selvanesco, 75, 20142 Milano
Tel: 02 5410 2612
Orari:

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Prezzi: prezzi variabili a seconda della rappresentazione e consultabili sul sito http://www.pimoff.it/ €

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SCHEDA SPETTACOLO: De Revolutionibus

Stagione 2015-2016
Di di Giacomo Leopardi da "Il Copernico" e "Galantuomo e Mondo"
Regia di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
Cast Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi
Una produzione Carullo-Minasi
Recensione di: Alessandro Toppi Voto 3

Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi spingono due carretti dalla ribalta al centro della scena, montano un “teatrino delle marionette” e recitano due operette di Leopardi: Il Copernico e Il Galantuomo e Mondo.

Carretti, teatrino, operette: diminutivi. Il loro De revolutionibus è perciò un lavoro sulla piccolezza: quella della mini-compagnia al cospetto del pachidermico sistema teatrale italiano; quella dell’artista nuovo, che s’accorge dell’ipocrisia operativa e di pensiero dei giganti (o presunti tali) della cultura nostrana; quella che appartiene a un uomo e a una donna consapevoli della propria debolezza e che si sentono vittima di soprusi e inganni, subiti da Io ipertrofici che dominano la realtà contemporanea. Insomma: mi sembra che il duo messinese provi a rispondere allo sconforto dovuto a uno spettacolo mancato (il Dolore sotto chiave di Francesco Saponaro, di cui sarebbero dovuti essere gli interpreti) con uno spettacolo nuovo, capace di rendere la condizione delicata, fisicamente ed emotivamente indebolita di chi subisce una pena, ne apprende la lezione e riparte operando una reazione.

Poco viene mutato dei testi di partenza (qualche taglio di battuta); poco viene aggiunto (qualche inciso metateatrale o autobiografico): i discorsi sull’immoralità che trionfa mentre la moralità langue inascoltata, offesa e sconfitta, sono di Leopardi e tuttavia diventano – nel corso della messinscena – sempre più l’onesta offerta di sé di questo duo isolano che, al pubblico, mostra così il paradosso veritiero per cui conta poco studiare, essere modesti, cercare di produrre la bellezza mentre vale molto fingere la competenza, gonfiare i propri meriti e darsi al mercimonio d’intelletto. Ne viene una visione poetica e amara assieme, in cui la ridondanza della parola ottocentesca viene ottimamente bilanciata dalla semplicità voluta di scenografia e costumi (Cinzia Muscolino) e dalla gracilità di due corpi umanamente fragili e, al tempo stesso, così ostinati e fieri.