dal: 02-03-2018 al: 11-03-2018
Terminato
Corso Buenos Aires, 33, 20124 Milano
Tel: 02 0066 0606
Orari:

Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30

*Sala soggetta a cambio d’orari.

 

 

Prezzi: 13,50 < 33 €

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SCHEDA SPETTACOLO: DANZA MACABRA

Stagione 2017-2018
Di August Strindberg e traduzione e adattamento Roberto Alonge
Regia di Luca Ronconi
Cast Adriana Asti, Giorgio Ferrara e Giovanni Crippa
Una produzione con la collaborazione di Mittelfest 2014, Spoleto57 Festival dei 2Mondi e Teatro Metastasio di Prato
Recensione di: Giuseppe Liotta Voto 3

Divertirsi con Luca Ronconi e dimenticare August Strindberg in La Moglie. A volte si può, ma senza lasciarsi sedurre dalla tentazione di guardare all’uno con gli occhi dell’altro. Ciò che conta è l’originalità di una rappresentazione elegante e sopraffina dove va sottolineato il grande rilievo espressionista di un quadro scenico in frenetico movimento, raggelato dalle forti e buie tinte di un notturno scandinavo col suo faro acceso a illuminare macabri volti e coscienze scopertamente ilari e beffarde.

Più che al vaudeville di Courteline Les Boulingrin, a cui Ronconi dichiara di essersi ispirato, questo spettacolo appare come il rovescio del testo strindberghiano, un guanto rivoltato di cui vengono mostrate tutte le incrinature, i lembi sfrangiati, la cucitura che non tiene, i pensieri (divenuti deliri) nascosti. Un universo onirico, nerastro, quasi grottesco, perfino “comico” con quel tormentone di morsi sul collo che contagia i tre protagonist i di quel vampiresco ménage à trois: Edgar (Il Capitano, Giorgio Ferrara), Alice (sua moglie, Adriana Asti) e Kurt (l’ospite desiderato, Giovanni Crippa).

Il testo originario, meglio conosciuto in Italia col titolo di Danza di morte, è composto di due parti distinte come due testi a sé stanti, più lungo e complesso di come viene presentato nell’edizione spoletina, qui ridotto, dall’abile e circostanziato adattamento di Roberto Alonge, a un unico atto, come un “dramma da camera” che ha perso le sue caratteristiche principali per diventare, nella libera interpretazione ronconiana, una tragedia precipitata nella parodia, o una irriverente pochade.

Ambiguità e stranezze formali che riguardano anche la recitazione dei tre interpreti che passano velocemente, e con professionale nonchalance, da un reciproco gioco al massacro a una divertita serata di personali, quasi private, domestiche esibizioni, spinte a volte sull’orlo di quella follia tipica del teatro dell’assurdo: di Vitrac e Ionesco, principalmente.

Gli attori sono guidati da una regia sorniona e distante, che lascia largamente fare pur di non interrompere quel flusso realistico di teatralità scenicamente palpabile che attraversa l’intera rappresentazione.