dal: 05-02-2015 al: 15-02-2015
Terminato
Via Ciro Menotti, 11, 20129 Milano
Tel: 02 3659 2544
Orari:

lunedì riposo
martedì, giovedì, venerdì, sabato ore 20.30
mercoledì ore 19.30
domenica ore 16.30

Prezzi: 12,50 < 25 €

Calcola percorso

SCHEDA SPETTACOLO: Amerika

Stagione 2014-2015
Di Fausto Malcovati, Franz Kafka e Maurizio Scaparro
Regia di Maurizio Scaparro
Cast Carla Ferraro, Fulvio Barigelli, Giovanni Anzaldo, Giovanni Serratore, Matteo Mauriello e Ugo Maria Morosi
Una produzione Compagnia Gli Ipocriti e Fondazione Teatro Della Pergola
Recensione di: Antonella Melilli Voto 3

I colori della scenografia di Emanuele Luzzati, qui ripresa da Francesco Bottai sono cupi, com’è ovvio trattandosi di Kafka. La scena è essenziale e determinante con quei siparietti che gli stessi attori spostano a vista a suggerire ambienti e atmosfere. Ma l’andamento di questo Amerika, adattato da Fausto Malcovati, che Maurizio Scaparro riporta in scena a più di dieci anni dalla prima edizione, è tutt’altro che opprimente. Scorre anzi lieve sul filo di intermezzi danzati e cantati che inclinano alla leggerezza del musical, con una band che suona dal vivo musiche dalle sonorità kelzmer della vecchia Europa che si armonizzano alle atmosfere blues del jazz di Scott Joplin. Una regia che sfugge, per la sobrietà dell’impronta, a ogni superficiale quanto stravolgente banalizzazione del romanzo a cui si ispira. La cui materia rivive, invece, con garbata scioltezza su un’ironia che fa da raccordo alla fondamentale frammentarietà del racconto.

In scena infatti, in un susseguirsi di episodi rievocati, gli incontri e le peregrinazioni di un giovane boemo, scacciato dai genitori dopo esser stato sedotto da una cameriera da cui ha avuto un figlio e venuto a cercare fortuna nel favoleggiato Eldorado di un mondo giovane, aperto e ricco di prospettive. Che egli affronta con un’energia giovanile a cui allude il suo stesso nome, Rossmann, uomo-cavallo in tedesco, pronta a risorgere tenace e fiduciosa di fronte a ogni disavventura.

Le esperienze, i tentativi, le sconfitte si mutano in tappe essenziali di un percorso iniziatico di rinnovato stupore. Lo stesso che trapela da quella frase «com’è grande l’America» che, come un guizzo finale d’ironia, conclude lo spettacolo e che, in fondo, contiene tutto il disorientamento e la malinconia dell’emigrante davanti alla scoperta faticosa di un paese e delle sue recondite spine. Che è, nel caso specifico, un’America più vicina a un sogno o a un’utopia, nata dalla penna di uno scrittore che non la vide mai. E che la regia di Maurizio Scaparro va evocando con allusività garbata e, al tempo stesso, con lucida concretezza, come avvolta in una sorta di lontananza onirica in cui la carica vitale di quegli anni irrompe con la scatenata gioiosità del reggae. Mentre, sulla profondità ombrosa del palcoscenico, si vanno delineando le brumose insidie del porto di New York, la crudeltà e il cinismo di una ricchezza arrogante e piena di sé o i più segreti abissi di dignità vendute e ignobili sopravvivenze. Elementi tutti di una complessità sociale in cui rischia di perdersi chi guarda all’apparenza di un possibile approdo facile e luminoso di promesse, per imbattersi poi nella realtà di un terreno impervio e perfino ostile, in cui la speranza ingenua dell’emigrante non di rado è destinata a spuntarsi contro gli espedienti cinici degli avventurieri.

E che lo spettacolo, che si avvale dell’interpretazione di Ugo Maria Morosi, Giovanni Anzaldo e Carla Ferraro, nei ruoli principali, mette a fuoco con mirata gradevolezza, imponendo l’attualità di un testo che fa riflettere su una realtà contemporanea solo in parte mutata, segnata anch’essa da ondate di emigranti, provenienti da un immenso Sud del mondo, che guardano all’Europa come alla nuova meta di un’utopia di dignità e di benessere.

Le foto della gallery sono di Salvatore Pastore.