dal: 26-03-2019 al: 07-04-2019
Terminato
Via Pier Lombardo, 14, 20135 Milano
Tel: 02 599951

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SCHEDA SPETTACOLO: Accabadora

Stagione 2018 -2019
Di Carlotta Corradi
Regia di Veronica Cruciani
Cast Anna Della Rosa
Una produzione Antonino Pirillo, Compagnia Veronica Cruciani, CrAnPi, Giorgio Andriani, Teatro Donizetti di Bergamo e TPE – Teatro Piemonte Eurpopa
Recensione di: Roberto Canziani Voto 4

Scritto dieci anni fa da Michela Murgia, il romanzo Accabadora disegna in controluce una figura, se non un mito, della tradizione sarda. Accabadora è colei che pone fine a una vita. Colei che per un compito di misericordia dà morte a chi, non essendo più in grado di vivere, alla morte ambisce (acabar nelle lingue iberiche significa finire, terminare). Un controluce altrettanto netto è nello spettacolo che Veronica Cruciani (regia) e Carlotta Corradi (drammaturgia) hanno tratto da quel romanzo. Un’ampia, lunga gonna nera, uno scialle ancora più cupo, il passo veloce di una donna che di notte, furtiva, entra nella stanza dell’agonia. E con un cuscino, premuto in faccia, si incarica di sciogliere un’esistenza dalla gabbia terminale a cui è incatenata. Oggi si chiama eutanasia.

Gli etnologi e gli antropologi si sono spesso confrontati sulla reale esistenza di queste donne sarde, ultime madri, il cui esercizio appartiene a racconti antichi, non documentabili, frutto forse di fantasia popolare, ma certo radicati nell’immaginario rituale della Sardegna. Ciò che conta però, in Accabadora, non è l’antropologia, ma un vissuto che dai ricordi di un ragazzina, data in affido a una seconda madre, punta a fare emergere le ragioni, le superstizioni, le contraddizioni di una pratica palese (l’adozione di una figlia d’anima) e di una pratica clandestina (in cui si manifesta la vicinanza lacerante di assassinio e pietà, il groppo di sacro e di profano, privilegio oramai estinto delle culture subalterne, popolari).
Per Anna Della Rosa (che veste il ruolo che fino a pochi mesi fa apparteneva a Monica Piseddu) l’intuito di Veronica Cruciani ha preparato uno spazio essenziale, geometrico, e dei fondali color pastello. Qui l’attrice, nell’immaginario dialogo con la madre adottiva, via via più teso, più intenso, più crudo, fa convergere la forza di sentimenti filiali complessi e un paesaggio scabro, emozioni rurali. Ma soprattutto, il mistero di un gesto impossibile da giudicare: dare la buona morte. Così si capisce che l’indagine sulle oscillazioni del comportamento umano, non è compito esclusivo dell’antropologo. Ma del narrare piuttosto, e del teatro.