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Il mondo arcaico è davvero arcaico? Le nostre consuetudini hanno avuto modo, in tanti e tanti anni, di smarcarsi e potersi dire moderne? Sembra dire di no Mattia Torre, autore e regista di questo 456, spettacolo per quattro attori che va in scena nei coinvolgenti tratti delineati da Carlo De Ruggeri, Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino e Franco Ravera. Un interno casalingo di un non precisato luogo del Sud Italia, una famiglia alle prese con una teatralizzazione della propria popolarità stereotipata, in attesa dell’ospite emigrato ed emancipato alla vita moderna, la cui scelta sarà determinante per il futuro (o quello che è sempre il passato) della stessa famiglia. La scena è volutamente calcata su temi di frugale vita di campagna, scegliendo il grottesco come misura sia del testo che degli altri elementi scenici (un inginocchiatoio di lato, un salame appeso al lampadario, un pentolone di sugo acceso da anni, dalla morte della nonna), confidando nella verve degli attori che ne caratterizzano e ne potenziano le opportunità. Il risultato è di rilievo, la penna di Torre genera lineamenti di una drammaturgia testuale decisamente convincente, in una lingua inventata ad arte, stimolando una simpatia immediata con alcune trovate brillanti della migliore tradizione e danzando sapientemente sul filo del cliché. Il gioco, pure in apparenza votato al divertimento puro, ha un profondo valore culturale e rintraccia l’impero dell’ignoranza, della diffidenza, della preoccupante caduta retrograda di questo paese, e lo fa nel nucleo fondante della società civile, la famiglia, installandovi una sottile nota di violenza che ne è fondamento. La buona struttura ha, tuttavia, una caduta inattesa su un finale un po’ scontato e tecnicamente sporco, ma resta a monito per le generazioni future, l’inviolabilità del sugo perpetuo, acceso dall’inizio, lasciato a bollire per l’eternità di questa vera e propria farsa tragica.