La RECENSIONE di CON TANTO AMORE, MARIO di Michele Pascarella – in scena a Il Cielo Sotto Milano il 25 marzo

«Ogni suono e ogni cosa hanno il proprio silenzio, come sulle alture a mezzogiorno c’è un silenzio dei galli, un silenzio dell’accetta, un silenzio dei grilli»: nelle note flâneur di Walter Benjamin echeggiano i proteiformi silenzi pieni di voci di questo minuscolo, prezioso allestimento, nel quale, Paolo Tintinelli, un’attrice esile e potente evoca per surreali frammenti la giornata-vita di un ex postino.

Con tanto amore, Mario è costituito dalla giustapposizione paratattica di azioni propriamente elementari: sollevare, spostare, spingere, ascoltare, giocare, mangiare, guardare, gettare, raccogliere, stare. Una serie di gesti feriali ed evanescenti che, grazie alla precisione e alla densità di questa artista minuta e possente, assumono la forza dell’oggettività, finanche dell’universalità: nella sperduta espressività del personaggio incarnato da Paola Tintinelli risuonano un essere soli al mondo e un senso di orfananza che rendono chi guarda l’unico e il primo spettatore. Scevra da ogni deriva sbrigativamente nichilista, una figura muta e malinconica in pantaloni da uomo, camicia chiara, bretelle e cravatta allestisce e abita con mal dissimulata goffaggine una scena-casa- ufficio, incarnando e rilanciando la dialettica fra diverse polarità: maschile e femminile (come non pensare all’androgina Claude Cahun), costruzione e distruzione, ordine e disordine, ilarità e mestizia. Con esibita noncuranza, lo spettacolo propone una destrutturazione “dall’interno” della forma-dramma: nell’apparente rispetto dei suoi statuti (plot, personaggio, set), passa «dal dramma-della-vita al dramma-nella-vita». Con tanto amore, Mario non presenta, infatti, grandi azioni organiche, giornate fatali o vicende memorabili, ma una desolata condizione che copre l’intera esistenza. A sigillo della vicenda umana di questo anonimo protagonista “senza qualità” è esposta per intero, a mo’ di didascalia, l’omonima canzone di Enzo Jannacci: «Mario, non ti resta che l’amore. Mario, non ti resta che ascoltare».

Michele Pascarella