Calcola percorso
SCHEDA SPETTACOLO: ROSMERSHOLM
Intendiamoci, l’idea poteva funzionare: ridurre Rosmerholm alla storia tra Rebecca e Rosmer, via tutto il resto. Concentrarsi sul gioco al massacro di una coppia malissimo assortita. Spesso funziona, Albee insegna. Qui no. C’è qualche buona idea, ma dopo mezz’ora ci si annoia. Di chi la colpa? Dell’autore? Forse Ibsen ha bisogno di tempi lunghi, di ampi spazi, di dialoghi articolati. Comprimerlo, sezionarlo, amputarlo lo impoverisce, lo banalizza. Diventa un pessimo drammaturgo. Colpa della coppia Luca Micheletti (regista oltre che interprete)- Federica Fracassi? Più probabile. Ottimo l’inizio: i due, distesi, occhi chiusi, mani giunte, ceri ai due lati della testa nella loro presunta bara. Silenzio, semioscurità. Ma poi si alzano, cominciano a parlare e non la smettono più. Ibsen mi perdoni, ma viene in mente “Catene”, i melodrammoni nazionalpopolari di Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, tranne che loro erano magnificamente realistici e facevano piangere le casalinghe di Voghera, questi sono finti, monotoni, enfatici, sopra le righe. Stupisce soprattutto la Fracassi, attrice altrove sublime, con una gamma espressiva fantastica (basta pensare ai suoi recenti Testori, da urlo), qui totalmente priva dei suoi scatti, dei suoi cambi di tono, della sua aggressività, della sua fantasia. Peccato. Si dice che stiano preparando un Peer Gynt, sempre a due voci: c’è da augurarsi che facciano qualche ulteriore sforzo, Ibsen se lo merita.