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SCHEDA SPETTACOLO: ENRICO IV
Alle prese con un monumento di travertino come l’Enrico IV di Luigi Pirandello, spauracchio e insieme meta ambita di tutti i mattatori, Carlo Cecchi lo smonta pezzo per pezzo e se lo porta a casa, che ormai da tanti anni è Marche Teatro. Qui, come fosse un Lego e non quel testo così complicato e di peso che i suoi quasi cent’anni di vita ci hanno tramandato, butta via il superfluo (mattoni e non mattoncini), ridipinge parti di ciò che resta, e rimonta il tutto per uno spettacolo folgorante, essenziale, capace di nobilitare da par suo il centocinquantenario della nascita dell’autore.
L’autore Pirandello, non l’autore Cecchi, che ha la metà degli anni del buon signor Luigi e la sua giovinezza la dimostra tutta, riscrivendo una grammatica dello spettacolo in senso profondamente contemporaneo, che più di così non si può. D’altra parte da un tipetto come il signor Carlo non ti potevi aspettare niente di diverso, perché lui i classici (o presunti tali) li sa maneggiare solo in questa maniera. E per fortuna, perché ogni volta sono capolavori che danno da pensare. Poi stavolta, oltre che pensare, ci si emoziona pure, perché questo Enrico per tanti versi sembra il figlio legittimo di Amleto, e allora la memoria corre alla storia di Carlo Cecchi e pensi a come Shakespeare sia uno dei genitori di quel grande teatro che l’artista ci regala da ormai una cinquantina d’anni.
Con Pirandello è amore e odio, e si vede. Si vede dalla cura che Cecchi si prende del testo, tagliandogli i lunghi ciuffi inutili dalla testa, rasandolo come va di moda oggi, tanto che i tre atti diventano uno e in un’ora e mezza è tutto finito. Questa sintesi sembrerebbe una specie di vendetta verso Pirandello e invece è la sua salvezza, perché dentro quel tempo c’è un mondo: la scelta di fare teatro per cui si impazzisce, la tragedia dell’esistenza che vira verso la farsa quando l’identificazione con il personaggio è una perfetta sovrapposizione, il metateatro, anzi il gioco magnifico del teatro, per cui se Belcredi vogliamo vederlo anche domani, che stasera si rialzi perché anche stavolta la spada di Enrico IV è di legno e non ha infilzato nessuno.