dal: 16-05-2018 al: 20-05-2018
Terminato
Corso Buenos Aires, 33, 20124 Milano
Tel: 02 0066 0606
Orari:

Sala Shakespeare: MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30
Sala Fassbinder*: MAR-SAB: 21:00 / DOM: 16:00
Sala Bausch: MAR-SAB: 19:30 / DOM: 15:30

*Sala soggetta a cambio d’orari.

 

 

Prezzi: 13,50 < 33 €

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SCHEDA SPETTACOLO: DONNE CHE SOGNARONO CAVALLI

Stagione 2017-2018
Di Adattamento Roberto Rustioni e Daniel Veronese
Regia di Roberto Rustioni
Cast Fabrizio Lombardo, Fabrizio LoValeria Angelozzi, Marìa Pilar Pérez Aspa, Michela Atzeni, Paolo Faroni, Valentino Mannias e Valeria Angelozzi
Una produzione con il sostegno di Fondazione Olinda Teatro La Cucina, Fattore K., Festival Delle Colline Torinesi e Sardegna Teatro
Recensione di: Laura Bevione Voto 3

Drammaturgo sessantenne assai noto in Argentina, Daniel Veronese viene proposto da Roberto Rustioni, attratto da quella scrittura “minimale” e cechoviana.
Donne che sognarono cavalli, scritto nel 2001, descrive un tormentato interno familiare: tre fratelli e le rispettive mogli, una cena che si conclude con una definitiva ma non chiarificatrice resa dei conti. Sottotraccia la realtà – probabilmente sconosciuta alla più parte del pubblico italiano – dei figli dei desaparecidos, strappati, spesso ancora in fasce, ai legittimi genitori e affidati a coppie fedeli al regime. Un dramma incarnato in scena dal personaggio di Lucera (Valeria Angelozzi) osservatore quasi esterno di quanto avviene – numerosi i monologanti “a parte” rivolti al pubblico – e deus ex machina della vicenda stessa.
Una narrazione che procede in ordine rigorosamente non cronologico e che si risolve non tanto in azione – e qui il modello cechoviano è evidente – quanto in dialoghi, fitti e allusivi, spezzati e ambigui, che mirano a nascondere e mistificare più che a rivelare.

Un universo minimo e soffocante, caratteri esplicitati dal ristretto spazio scenico – un soggiorno di pochi metri quadri, le pareti ricoperte da giornali ingialliti e vecchi arredi mal assortiti – e dalla vicinanza degli spettatori che, seduti su tribune laterali, fungono quasi da “viva” quarta parete. Stretti in questo spazio angusto, i sei attori discutono, rivendicano, protestano, piangono, ridono con fervore – una passionalità che allontana da Cechov – senza tuttavia incidere realmente sul destino proprio e altrui, malgrado il repentino finale “a sorpresa”. Non accade in verità quasi nulla e ben poco comprendono gli spettatori di quelle allusioni e certo la scarsa conoscenza della recente storia argentina non aiuta. Uno spettacolo che genera interrogativi, non sempre significativi.